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Calcio | 25 marzo 2025, 14:02

Messias: "Il calcio serve a integrarsi, non a discriminare le persone"

Junior Messias racconta la sua storia di sport e inclusione, nell’ambito del progetto Sic! Grazie per la realizzazione a Uisp Genova e a Genoa CFC

Messias: "Il calcio serve a integrarsi, non a discriminare le persone"

Nella Settimana di azione contro il razzismo, il presidente del Comitato Uisp Genova, Marino De Filippi, ha intervistato il calciatore del Genoa, Junior Messias, nell’ambito del progetto "SIC! - Sport, Integrazione e Coesione" condotto in partnership con Lega Serie A e UNAR- Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali. Nel 2011 Messias, 20enne brasiliano, ha lasciato la sua patria per cercare fortuna in Italia, stabilendosi a Torino, dove ha fatto il corriere di elettrodomestici, vivendo nel quartiere di Barriera di Milano e giocando a calcio con l’Uisp nello Sport Warique, la formazione della comunità peruviana in Italia. È proprio qui che, nel 2015, viene notato da Ezio Rossi ex allenatore del Toro, che scopre il suo talento portandolo con sè in Eccellenza al Casale, da dove inizia la sua eccezionale carriera nel calcio italiano. 

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La conversazione prende il via dai primi anni di Junior in Italia, con le difficoltà e le speranze di un nuovo inizio: “Non è facile per nessuno arrivare in un paese straniero, di cui non conosci la lingua e la cultura - ha detto Messias - è tutto diverso e tutto nuovo, ed ovviamente questa è anche una cosa piacevole perché inizi a vivere esperienze nuove. In tutto quello che fai, all’inizio ci sono delle difficoltà, non è facile integrarsi ma questo vale per tutti, anche per gli italiani che vanno all’estero, però è quello che volevo fare e ora sono 14 anni che sono qui in Italia, quindi posso dire che è andata bene”. 

Il calciatore del Genoa ha poi ricordato i primi anni sui campetti dei Campionati Uisp a Torino: “Iniziare a giocare a calcio con l’Uisp mi ha aiutato a superare le barriere: giocare, fare qualsiasi sport, facilita le cose perchè condividi un’esperienza, conosci altre culture. Infatti, all’inizio ho giocato con africani, sudamericani e questo mi ha aiutato molto a integrarmi, grazie al linguaggio del calcio che è universale. Mi ricordo benissimo quando giocavo nel Campionato Uisp con i ragazzi peruviani, il presidente della squadra era mio amico e collega, facevamo tutto noi: dopo il lavoro portavamo a lavare le divise, prendevamo i palloni e li portavamo al campo. In quell’ambiente non si fa nulla per obbligo ma tutto volontariamente, per divertimento e passione. In Italia il calcio, fatto di tante categorie e campionati,  come quello proposto dalla Uisp, può aiutare i ragazzi ad arrivare in alto. In Brasile non ci sono così tante categorie: quindi l’inizio è difficile, molti giocatori di talento non riescono a sfondare perchè non ci sono le opportunità, qui è più facile farsi vedere”.

Parlando di razzismo, Junior Messias esprime tutto il suo sconcerto: “Io ho assistito ad alcuni episodi di razzismo capitati ai miei compagni, a me personalmente non è mai successo - racconta - però messaggi offensivi mi sono arrivati sui social. Io penso sempre che queste persone non abbiano nè cuore nè cervello, perchè insultare una persona per la sua provenienza o per il colore della pelle sono cose inconcepibili, siamo tutti uguali. Secondo me si parla tanto ma si fa poco, bisogna agire di più, e non mi riferisco solo a noi calciatori ma a chi fa le leggi e le regole. Questo fenomeno continua a crescere e non penso che si possa eliminare del tutto, perchè sappiamo com’è fatto l’essere umano, ma qualcosa bisogna fare perché avvengono veramente troppi episodi di questo tipo. E’ vero che esiste un regolamento secondo cui l’arbitro può sospendere la partita per casi di razzismo, ma questo non succede mai, il calcio non si può fermare, non è successo nemmeno durante la pandemia, ci sono troppi interessi in gioco. Dovrebbero almeno aumentare le punizioni per chi si macchia di questi gesti, il Daspo non basta. Io penso che si parla tanto della salute fisica, con i consigli per mangiare bene, fare sport, invece non si parla mai della salute mentale che, in particolare, per i giovani è la cosa più importante. Alle persone possono succedere cose molto gravi ma se ne parla poco in generale. Purtroppo la settimana scorsa ho perso un cugino in Brasile che si è suicidato: mi rendo conto che la salute mentale delle persone negli ultimi tempi è più fragile, anche a causa dei social, delle cose che vediamo degli altri che spesso non sono nemmeno vere. Dobbiamo dare fiducia e importanza agli specialisti che se ne occupano, la gente non parla, non racconta i propri problemi, a volte si fa fatica ad accedere alle cure. E’ difficile capire i segnali dei problemi mentali, per questo dobbiamo parlarne e non lasciare sole le persone”.

Infine, una carrellata delle immagini più belle della sua carriera da professionista: “Porto con me tante belle immagini: il primo gol in Serie A, la prima volta in campo a San Siro, che non sapevo sarebbe diventata casa mia, i gol fatti a Madrid, a volte ripenso alla giornata che mi ha portato a quella partita, che ha cambiato la storia della mia carriera e la mia vita”. (A cura di Elena Fiorani)

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